Si è assentata momentaneamente dalle sue sudate carte: l’autopsia del manoscritto belliniano della Norma, conservato negli archivi del vicino Conservatorio di Santa Cecilia, a via dei Greci. Dopo i saluti, ci dirigiamo in un posto lì vicino per un’amabile chiacchierata davanti a un dolce. Sorridente e serena per il bel risultato della Stuarda, mi parla dell’opera in questione, dei suoi futuri impegni, di interpretazione vocale, di musicalità e di molto altro.
Grazie Marina per aver accettato di farti (nuovamente) intervistare da me, il che mi onora. Per incominciare: come senti la tua voce ora, come la percepisci, dove vuoi arrivare vocalmente?
Prego, Stefano! È un piacere! In questo momento mi dedico al repertorio lirico con agilità, anche verso vocalità più spinte. È naturale che la voce, nel corso del tempo, cambi col cambiare del corpo: è umanamente fisiologico. Mi sono stati proposti dei ruoli in passato che non mi sono sentita di accettare proprio perché voglio preservare la mia voce al meglio. Un mio punto di forza penso siano proprio le agilità, quindi appesantire la voce causerebbe un danno ad alcune mie predisposizioni naturali. In questo momento sto scegliendo il repertorio in cui posso crescere sia emozionalmente sia tecnicamente. Chi va piano, va sano e va lontano.
Sagge parole. E esordirai prossimamente in qualche nuovo ruolo?
Certo! Lo scorso anno ho fatto cinque nuovi ruoli: Norma, Mimì, Ginevra nell’Ariodante di Händel (mi piace approfondire anche il Barocco), Vitellia, Thaïs a Salisburgo – praticamente imparando il ruolo in cinque giorni. Quest’anno ho esordito nella Stuarda a gennaio, interpretando per la prima volta Maria; farò poi Donna Elvira alla Metropolitan Opera, Marguerite nel Faust di Gounod e la Luisa Miller.
Fantastico. Canti molto, anche, nel repertorio francese. E hai fatto un’ottima incursione nel Barocco.
Adoro il repertorio francese! Per quanto riguarda il Barocco, non appena ho studiato il ruolo di Ginevra ho capito che avrei voluto interpretare la vocalità barocca con la voce piena. Non abbiamo prove di come si cantasse nel XVII e XVIII sec, quindi ogni tentativo di ricostruzione è, in ogni caso, un’interpretazione. Perché allora non provare a cantare un ruolo barocco cercando di superare molte imposizioni di stile?
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